Magnesia, 189 a.C.

Generali: Publio Cornelio Scipione l’Africano (formalmente il fratello Lucio) contro Antioco III il Grande di Siria.

Le altre fanno le fan art degli One Direction, io i collage di gente morta.

Da sinistra: Antioco e Scipione in una foto d’epoca. Notare l’approccio aristocratico e romano del primo.

Forze schierate:
4 legioni da 5.400 uomini l’una;
3.000 fanti leggeri, fra pergameni e achei, dotati di caetra, un piccolo scudo di cuoio. Anche detti ‘peltasti’;
3.000 cavalieri romani;
500 guerrieri tralli e cretesi di riserva;
2.000 volontari macedoni e traci a presidio dell’accampamento;
16 elefanti sahariani, piccoli e ben addomesticati.

CONTRO

16.000 falangiti;
19.700 fanti di varie etnie;
12.500 cavalieri, di cui 6.000 catafratti più o meno pesantemente;
1.000 guardie del corpo a cavallo per il re e la corte appiedata di Argiraspidi, gli ‘Scudi d’Argento’;
1.200 arcieri a cavallo e 2.500 a piedi;
3.000 fanti tralli e cretesi – gente indecisa, dal momento che anche l’Africano ne ha;
4.000 tra frombolieri di Persia e arcieri di Media;
54 elefanti asiatici, enormi e indisciplinati, cavalcati da quattro guerrieri più un conducente ciascuno;
Bonus: bighe e quadrighe falcate e arcieri arabi a dorso di dromedario, con tanto di stuzzicadenti sottili spade lunghe un metro e ottanta.*

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Questo è un peltasta: un fante molto leggero.

Esito: schiacciante vittoria dei romani.

Motivo del conflitto: secondo Antioco era il momento giusto per farsi un giro in Europa mentre Roma era prostrata dalle guerre puniche. Capiamolo, stava solo cercando di ripigliarsi quello che il padre si era fatto togliere nei suoi tre anni di regno. E poi, doveva liberare i greci rimasti sotto il tallone dell’Urbe dopo le guerre macedoniche.

Effetti: pace di Apamea. Roma lascia agli alleati gran parte dei nuovi territori: una Provincia così lontana non è gestibile, per ora; tuttavia si trova a controllare indirettamente le tre monarchie  ellenistiche superstiti (l’Egitto è da poco sotto una specie di protettorato). Antioco dovrà chiedere il permesso anche per starnutire, cosa che avrebbe dovuto fare pure la Strazzulla.
Si manifesta una volta di più la superiorità della legione rispetto alla falange.

Il trattato di Apamea, 188, vede il regno di Pergamo andare a Roma. In rosso la città di Magnesia.

Il trattato di Apamea, del 188, prevede l’espansione del regno di Pergamo a danno della Siria. In rosso la città di Magnesia.

A Zama uno Scipione trentatreenne ha sì distrutto la supremazia di Cartagine, ma si è anche lasciato sfuggire Annibale. Costui, dopo tanto peregrinare, è giunto alla corte del Gran Re seleucida Antioco. Ha provato ad aizzarlo contro Roma e a cavargli 10.000 fanti, 1.000 cavalieri e 100 navi per tornare in patria, fomentare l’ennesima ribellione e invadere di nuovo l’Italia, ma non c’è stato verso. Buon per Antioco, perché sarebbe stato un errore tattico e uno stupido anacronismo. L’unica cosa che il Barca ottiene è di mettere in fibrillazione i vecchietti del senato, che subito immaginano grandi mobilitazioni di flotte e legioni.
Mesi dopo, gli etoli, recente conquista capitolina, invitano i siriaci a casa loro per cacciare i romani. È il 192 quando Demetriade, un porto strategico nel nord della Grecia, cade in loro mano.

L’Etolia era un posto poco raccomandabile.

Ed ecco a voi lo spettacolo di Antioco e Annibale che tirano su i primi 10.500 uomini disponibili e puntano a rotta di collo su Calcide d’Eubea, occupandola senza problemi. Sarà la trecentesima volta nella Storia che l’Invasore Asiatico™ riesce ad accaparrarsi l’isola senza incontrare resistenza.
Ora, non è che Roma sia potentissima, sull’altra sponda dell’Adriatico. La Grecia è spezzettata in città-stato e leghe, impotente, mentre a nord la Macedonia di Filippo V non aspetta altro che di farne un sol boccone. Il senato decide di regalargli (restituirgli, in realtà) alcune poleis in cambio di sostegno. Così abbiamo dei macedoni contenti e dei greci furiosi, sballottati come sono da un padrone all’altro.
Finalmente Antioco si azzarda a sbarcare in Tessaglia e a raccogliere quei quattro ciuffi di etoli armati, solo per capire che conquistare una a una tutte le piazzeforti di Grecia è una pazzia e ritirarsi quando vede l’esercito romano-macedone. È il gennaio del 191 ed è già incappato in due imprevisti: l’immediata mobilitazione di Roma – a soli tre mesi dalla dichiarazione di guerra, quando a lui i rinforzi arriveranno dopo l’inverno – e lo schieramento della Macedonia, che aveva sperato neutrale. Annibale borbotta in un angolo, ignorato da tutti. 
In realtà Manio Acilio Glabrione arriva con un vero esercito solo un mese dopo: nelle prime tre settimane di primavera, 20.000 fanti, 2.000 cavalieri e 15 elefanti romani riconquistano tutte le rocche perse. A fine aprile Antioco, ancora a corto di rinforzi, è costretto a indietreggiare fino alle Termopili, per impedirgli l’accesso alla Grecia centrale. Poi arriva Catone con duemila uomini, cui importa moltissimo di ficcarsi in combattimenti con un rapporto di 5 a 1 per gli altri, e lo schioda pure di lì. Se vi concentrate potete ancora sentire l’eco del tappo di spumante (Antioco) che viene sparato via. Lontano. Fuori dalla Grecia e fuori dall’Europa. Ma non prima che un Livio Salinatore, insieme alle flotte di Pergamo e Rodi, lo sconfigga anche sul mare. Una scaramuccia che non impedirà affatto all’ammiraglio, Polissenida, di tornare a rompere l’anima ai romani.

Catone il Censore nella sua posa più fotogenica.

Adesso sì che si ragiona. Vedendo che Antioco non è invincibile, a Roma si diffonde la volontà di annientarlo. Scipione cavalca l’onda, proponendo di portare la guerra in Asia come fatto in Africa. Notare che, per il popolo, il nemico da battere è ancora Annibale. E c’è solo un uomo in grado di farlo.
I consoli per il 190 sono Caio Lelio e Lucio Scipione, rispettivamente migliore amico e fratello dell’Africano. A fine aprile, un nuovo esercito romano di 13.000 fanti e 500 cavalieri si congiunge a quello di Glabrione e liquida in tutta fretta gli ultimi etoli ribelli: non sono certo loro il problema. Bisogna arrivare ai Dardanelli.

L’Ellesponto prendeva il nome da Elle, la fanciulla cui Frisso permise di cadere dall’ariete col vello d’oro e annegare.

Antioco ha previsto tutto e si è organizzato. Durante l’inverno ha manovrato la flotta in modo da minacciare Rodi, Pergamo e le vie di rifornimento dall’Italia, in modo da impegnare il nemico su più fronti e impedirgli di puntare tutte le forze sullo stretto. Riesce in buona parte del piano: mentre Polissenida tiene valorosamente la posizione, Annibale, pure in superiorità numerica, si fa sconfiggere dai rodii. È l’agosto del 190. Rimasto solo, l’ammiraglio resiste un mese prima di veder affondare 42 delle sue 89 navi.
Nel frattempo, gli Scipioni avanzano via terra.
Dopo un mese di temporeggiamenti, che portano via gli ultimi alleati rimasti ad Antioco, quest’ultimo prova a offrire la pace a condizioni per lui umilianti. Ma è tardi, e lo stesso Africano, pur avendo un figlio ostaggio del re, se ne prende gioco e ne rifiuta la liberazione in cambio di un trattato. Gli dice che, se Antioco vuole restuirglielo, avrà la sua gratitudine solo in privato. Beh, a questo punto i patteggiamenti s’interrompono. (Per la cronaca, il povero Scipione Jr. riabbraccerà il padre, malato, di lì a poco)

Il re è insicuro. Fa avanti e indietro cercando la posizione ottimale per la sua falange, coi romani che gli corrono dietro finché non si decide per un’enorme pianura nei pressi di Magnesia.
Ha anche ragione, poveraccio: la falange non è certo un modello di versatilità, non è che si possa schierare ovunque. Solo che in questo modo il nemico si imbaldanzisce. I legionari iniziano a guardare ai siriani come a un gregge di pecore da sgozzare. Le accurate opere di trinceramento e alcune piccole dimostrazioni d’incapacità nella gestione della cavalleria fanno il resto. Per esempio, è interessante notare come i non-romani, siano essi orientali o nordici (l’abbiamo già visto qui), commettano sempre lo stesso errore: attraversano un fiume per andare incontro al nemico, mettendosi così in condizioni di non poter ricevere rinforzi.

Un comportamento degno di un troll.

Ci siamo. Quando Antioco non può più procrastinare senza perdere la faccia, si schiera. L’idea di partenza è buona: disporre al centro i suoi 16.000 falangiti divisi in 32 file, in modo da ottenere uno schieramento stretto e profondo, con una gran capacità di penetrazione. Sarà il punto che respingerà le quattro legioni. La peculiarità è che questa falange è divisa in dieci sezioni, separate da due elefanti ciascuna. In teoria aumenta la spinta, in pratica… lo vedremo.
Le ali sono speculari: andando dal centro verso l’esterno, si inizia con armi e corazze pesanti per arrivare ai frombolieri sulla destra, protetta dal fiume Frigio, e a generici fanti leggeri sulla sinistra. Antioco e la sua nutrita scorta stanno a tribordo, stupidamente: quando mai s’è visto che il generale della situazione si chiuda fra il centro e un fiume?
La seconda buona idea è creare uno schieramento “tridimensionale” invece che lineare, con i catafratti coperti da bighe, quadrighe e quei ridicoli dromedari arabi.

Lo schieramento romano è classico: due legioni capitoline al centro, due italiche ai fianchi, alleati e cavalleria alle ali. Quella sinistra, che si ritrova di fianco al fiume e davanti al re, consta di sole quattro torme (120 cavalieri). Grosso errore.

Questa cosa dell’eterogeneità. Parliamone. È pessima dal punto di vista della coesione, certo, ma ci puoi fare tutto. Puoi schierarti ovunque perché hai truppe provenienti dalle zone più diverse e puoi annientare qualunque forza perché hai un tipo di soldato per ogni debolezza esistente: hai i catafratti per la cavalleria leggera, i fanti corazzati per quelli leggeri, le bighe per i più scalcagnati e gli arcieri a cavallo per i più formidabili. Tutto sta nel disporli bene, e Antioco tutto sommato l’ha fatto. però Però si è disposto male lui e ha scelto il giorno sbagliato per combattere. C’è nebbia, e dalla destra non vede nemmeno cosa sta combinando il centro. C’è umidità, e le corde di archi e fionde, le corregge dei giavellotti si sono allentate. Bighe e quadrighe dovrebbero scompaginare gli ausiliari pergameni, ma il re Eumene lo evita semplicemente facendoli avanzare in ordine sparso. Dopodiché i suoi arcieri e frombolieri hanno tutto l’agio di ferire i cavalli nemici, diffondendo il panico pure fra i dromedari.
Ora i catafratti sono scoperti, e la fanteria leggera romana si fa da parte per lasciare che la cavalleria li annienti. Reazione a catena. Lo scompiglio si estende all’intera ala destra e al centro, mettendo fuori gioco le lunghe sarisse dei falangiti. Chi fugge si getta fra le file della falange, dritto fra le zampe degli elefanti. Accade di tutto: gli opliti che restano a guardare mentre i legionari li ammazzano comodamente a distanza di tiro di giavellotto, la riserva centrale siriana che viene sorpresa alle spalle da un focoso Enobarbo, l’ala sinistra romana che cede miseramente all’attacco del re ed espone le legioni a spinte anche dal fianco – situazione risolta col solito provvedimento disperato: il tale tribuno Marco Emilio ferisce tutti coloro che provano a ritirarsi, tamponando l’emorragia.
Non si sa bene come, alla fine duecento cavalieri romani dell’ala destra riescono a farsi strada fino a Emilio. Basta questo per indurre Antioco a svignarsela verso il proprio accampamento.
A quest’ora i falangiti sono morti tutti e sedicimila, tanto che i legionari s’incattiviscono perché i cadaveri impediscono loro di muoversi.

Fatto: a fine giornata ci sono solo quattrocento nemici da far prigionieri, gli altri sono morti. Un’ecatombe vecchio stile. Solo che Annibale non è fra gli ostaggi… è fuggito ancora! Fra un po’ sarà alla corte di Prusia di Bitinia (la cui neutralità è stata pagata profumatamente da Roma) e fra sei anni si suiciderà, braccato dell’ubiquo Flaminino.
L’esercito romano impiegherà sei mesi a rientrare in Italia, causa barbari, mentre Antioco morirà nel 187, un anno dopo la pace di Apamea, ammazzato mentre saccheggia un tempio.

Un presunto ritratto di Annibale, uomo dalle mille risorse.

Questa è una delle mie battaglie preferite, più che altro perché Antioco è un personaggio molto particolare: più prudente e organizzato dei soliti despoti orientali, ma sfortunato. Avrebbe davvero potuto vincere, con tutti gli errori commessi da Lucio Scipione e i numerosi nemici di Roma. Che cosa sarebbe successo se avesse avuto il buon senso di allearsi con l’Egitto? Di certo non si sarebbe deciso tutto in un giorno. Invece questo è periodo in cui un solo scontro campale comporta la perdita di interi eserciti e regni: epico!

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*Tutte le cifre riportate sono ampiamente discutibili. Sono stime lette nei saggi di Andrea Frediani (cfr. Le grandi battaglie di Roma antica, ‘La guerra siriaca’, pp. 154-156), purtroppo abbastanza poco precise: a distanza di poche pagine, l’autore concorda con quasi tutti gli altri storici moderni nell’assumere il totale dei fanti di Antioco a 60.000 unità, quando le cifre sopra riportate non lo fanno arrivare a 50.000. Avrei potuto riportare altri studi, magari più autorevoli, ma non sono i numeri che m’interessano: l’importante è che si comprenda la differenza fra gli schieramenti.
Persino l’anno è controverso: le fonti anglosassoni riportano il dicembre 190 a.C., tutte le altre l’inizio del 189. Impossibile, o difficile al limite dell’inutile, determinare quanto fosse inesatto il calendario dell’epoca per riaggiustare la data.
La fonte storica principale è Appiano, insieme all’onnipresente Livio.

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13 thoughts on “Magnesia, 189 a.C.

    • Paragone quantomai azzeccato, la mappa delle sue peregrinazioni sembra proprio la solita quest dell’eroe che parte da Roma diretto a Madrid e devia a Mosca per prendere l’Unico Autobus che lo porta in Francia. 😀

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