Generali: Publio Cornelio Scipione Africano Minore, in sintesi l’Emiliano, contro Asdrubale.
Forze schierate: 80.000 romani e 150 longae naves contro 50.000 punici. Circa. Sappiamo però che, fin dal 212, Roma mantiene venticinque legioni sparse per il mondo.
Esito: vittoria romana.
Motivo del conflitto: Cartagine non ha molto ben compreso la lezione di Zama.
Effetti: Carthago deleta est*.

Annibale in compagnia della *SPOILER* testa del fratello.
La Terza E Ultima Guerra Punica ha inizio con Asdrubale che attacca Massinissa di Numidia, alleato di Roma, proprio sotto il naso di un Emiliano in cerca di qualche elefante da scaraventare contro gli iberi (che, per la cronaca, possono anche iniziare a godersi i loro ultimi quindici anni).
Dopo Zama Cartagine non può dichiarare guerra a nessuno senza il permesso del senato, ma naturalmente la vita è troppo breve per stare ai patti — e poi, ci sono sempre gli ambasciatori! Gli sventurati arrivano a offrire
- la testa di Asdrubale,
- trecento ostaggi,
- tutte e 2.000 le catapulte,
- tutte e 200.000 le armature in loro possesso.
Il popolo li lincia. È mia modesta opinione che la colpa di tanta scortesia siano state le sceneggiate di un certo Marco Porzio. Tanto fra un po’ muore.
Poco dopo, quattro legioni e centocinquanta navi da guerra giungono in Africa con l’ordine di distruggere la città e deportarne gli abitanti. Però i generali sono due, e nemmeno uno è quello giusto: convinti di entrare in una città in ginocchio, Censorino e Manilio si mobilitano mesi dopo lo sbarco (estate 149). Il primo, forte della flotta, si accampa sulla Glossa, mentre Manilio occupa l’istmo, per impedire i rifornimenti dall’interno. Ricordiamo come quella del “Dividiamoci!” sia sempre un’ottima idea… soprattutto sapendo che Asdrubale è fuori città in cerca di armati.

La città come disegnata sulla Geschichte der Karthager.
Nel frattempo i cartaginesi, stando alle fonti, in mancanza di ferro e bronzo hanno fuso oro e argento per fare armi, fabbricando cento scudi, trecento spade, cinquecento lance e mille frecce al giorno. Orosio, che essendo cristiano crede e scrive barzellette, riporta che persino le donne abbiano sacrificato i capelli per farne funi da catapulta.
Non c’è dubbio, serve un assedio. Censorino dovrebbe tappare questo porto:

Il canale è per le navi commerciali, il cerchio per quelle da guerra. Molto chic. Fra poche righe non esisterà più.
… e le paludi glielo impediscono. Contemporaneamente Asdrubale piomba alle spalle di Manilio, chiuso tra il deserto e la rocca — parliamo di mura spesse dieci metri e alte quattordici, in quel punto. Imprevedibile, eh?
Le decine di piccole sconfitte che verrano subite da quattro consoli diversi nel giro di due anni sono da manuale: legionari che attraversano un fiume trovando il nemico in posizione favorevole, di solito su un altopiano; truppe cui, per mera mancanza di polso, viene permesso di frammentarsi fino a ingaggiare dozzine di microcombattimenti; insomma, un gran spreco di potenziale. Fortuna che c’è sempre il tribuno Emiliano a salvare i soldati da morte certa.
Il suo momento arriva alla morte di Massinissa: come sistemare i tre figli legittimi? Divide et impera. Scipione assegna al primo la sovranità nominale, al secondo l’esercito e al terzo la giustizia (povero Mastanabale!), per poi farsi amico quello che mena: Golussa. Gli alleati di Asdrubale diminuiscono… finché l’operato dei nuovi consoli non li induce a cambiare nuovamente bandiera.
Così a Roma si inizia a invocare Scipione, che a trentasei anni è troppo giovane per fare il console. Ma quando si hanno allo stesso tempo il popolo e Catone dalla propria non è un problema infrangere la legge!
Amnell riflette (Achtung-Achtung)
Basta un emendamento, regolarmente proposto da un tribuno della plebe e approvato senza difficoltà. Tuttavia costituisce un precedente fondamentale: di fatto si passa da “Il mos non si tocca!” a “Se l’abbiamo già fatto, perché non ripetere?”, cioè alle condizioni che permetteranno a certe personalità ingombranti di emergere.
Da console Scipione può dedicarsi all’attività per cui diverrà famoso a Numanzia: riportare la disciplina fra i debosciati.
All’inizio del 147 si trova degli uomini demoralizzati e pigri, che da mesi non impugnano un gladio nemmeno per esercitazione, dove la diserzione in favore dei cartaginesi è un fenomeno comune. Più che legionari, dei predoni. Ordina di considerare nemico chiunque non si trovi a distanza di squillo di tromba; in primavera è pronto, ed escogita una mossa molto particolare.
I punici hanno mancato di demolire una torre; grazie a questa alcuni soldati riescono ad arrivare sugli spalti e ad aprire una porta della città, attraverso la quale entra un’intera legione. Asdrubale accorre per cacciarli e ne fa strage, costringendo Scipione alla ritirata e abbandonando il presidio sull’istmo.
Il sacrificio di tanti buoni soldati può dirsi ripagato: adesso il blocco terrestre è efficace e il Beotarca è prigioniero nella sua stessa città. Dopo tre settimane il lato ovest di Cartagine è completamente sigillato da quattro fossati disposti a rettangolo, di cui quello verso la città dotato di torre per spiare oltre le mura.
Questa torre si rivela subito utile, svelando le esercitazioni di una flotta costruita in fretta e furia col legno delle case distrutte. Quando infatti Scipione sta finendo l’argine che chiuderà il porto, ad Asdrubale non resta che tentare il tutto per tutto. Senza il fattore sorpresa la sortita si trasforma in una sanguinosa battaglia vinta dai romani. Le sorti dell’Africa sembrano già decise. E in effetti è così, per quanto il nemico riesca a incendiare le macchine ossidionali romane. Alla fine quel maledetto porto viene definitivamente bloccato e Scipione può permettersi di offrire una tregua e un salvacondotto per Asdrubale e famiglia – rifiutati. E allora che muoiano di fame! Dall’inverno alla primavera del terzo anno i romani siedono immobili mentre il Beotarca arriva a torturare e gettare dagli spalti i prigionieri, pur di costringere i suoi a resistere, e a bruciare gli edifici del porto per restringere il fronte – un vantaggio anche per Scipione, tra l’altro.

Guardatela un’ultima volta.
Ad aprile c’è l’attacco finale alla Byrsa, la rocca. Uno dei primi a scalarne le mura è il futuro tribuno delle plebe Tiberio Sempronio Gracco, che incroceremo ancora a Numanzia. Mentre i difensori si accalcano al centro della città, il grosso delle truppe romane sfonda a sud e arriva davvero fino alla rocca.
Iniziano i lentissimi combattimenti per le vie, coi legionari costretti a usare i forconi per spazzare via i cadaveri e i cartaginesi che hanno case di sei piani da cui lanciare gli oggetti e i liquidi più disparati.
Quasi una settimana dopo, Scipione è nella Byrsa. Davanti a lui ci sono 55.000 persone, un decimo della popolazione. Ai suoi piedi Asdrubale con moglie e figli, che implora pietà – esattamente quello che aveva giurato di non fare – e l’ottiene.
A questo punto il vero uomo della casa, la moglie, prende i figli e si getta tra le fiamme insieme a novecento disertori romani.
La guerra potrebbe anche finire con la solita deportazione degli abitanti e il pagamento delle indennità, cosa per cui Scipione combatte (anche perché Catone è morto da tre anni), ma non c’è niente da fare. Cartagine brucia per diciassette giorni, viene arata, cosparsa di sale e maledetta***.
Scipione, rivolto al proprio maestro, commenta:
Polibio, è un glorioso momento, è vero, ma non so come, ho paura e già vedo il momento in cui un altro darà lo stesso ordine contro la nostra patria.

Non dire così, Scipio!
E scommetto che Cicerone penserà a queste parole quando si vanterà di aver sconfitto il nobile Catilina.
Due parole sul personaggio, parte prima.
L’Italia, soprattutto quella didattica, è piena di idioti che pensano che l’Emiliano prenda il nome da Reggio Emilia. Guarda caso, però, in quella zona (molto gallica e poco romana) non ci sono state grandi battaglie, e la città è stata fondata da un certo Marco Emilio Lepido col nome di Regium Lepidi. In effetti da che mondo è mondo sono le città a derivare il nome dal fondatore, non certo il contrario.

Come Roma, che deriva palesemente da Romolo. Qui ritratto mentre porta al tempio di Giove Feretrio le spoglie opime di Acrone, capo dei Ceninensi.
Semplicemente, c’era una volta Lucio Emilio Paolo, detto Macedonico per aver sterminato gli Antigonidi e figlio dello sconfitto di Canne**. Costui generò quattro maschietti e due femminucce da due donne diverse, e così si trovò a dover dare in adozione due cuccioli di Emilio Paolo. Il primogenito andò a un Quinto Fabio Massimo, diventando Massimo Emiliano (nonché futuro padre di un tizio chiamato l’Allobrogico), il secondo al figlio di Scipione l’Africano, diventando Scipione Emiliano (nonché futuro padre di… nessuno). Ecco svelato l’arcano.
Questo è il momento in cui le grandi gentes iniziano il loro declino: all’epoca di Silla sarà rimasto un solo Fabio (morto senza eredi) e nessun Emilio del ramo dei Paoli.
Appendice: la Byrsa
In lingua punica significa “luogo fortificato”, ma i Greci preferirono ambientarci una delle loro leggende. L’equivalente fonetico nella loro lingua, βυρσα, significa “pelle”. Da qui la storia, ripresa e distorta da Virgilio, secondo cui Elissa, sorella di Pigmalione, fuggì in Africa e dagli indigeni ottenne la terra che avrebbe potuto coprire con la pelle di un bue. Tagliandola in sottili strati riuscì a coprire proprio l’altopiano che fu il nucleo di Cartagine.
Durante le Guerre Puniche il romano Nevio le diede il nome di Didone e la legò a Enea. Virgilio si limitò a svecchiarne la poesia e aggiungere un mucchio di ghirigori.
Note
*Per essere coerenti sarebbe stato meglio deletur (viene distrutta), sto parlando al presente. Deleta est è il passato remoto.
**La genealogia delle famiglie romane è una delle cose più entusiasmanti che conosca. Sul serio.
Guardate che splendore questa mappa, arriva fino al tribuno Clodio!

Duecentocinquant’anni di incroci di prim’ordine, siore e siori!
***Se Cartagine sia stata realmente cosparsa di sale o meno era oggetto di discussioni già nell’antichità. Dalla regia mi segnalano che in tempi realtivamente recenti se n’è occupato anche lo storico Brian H.Warmington (Storia di Cartagine, Torino, 1968), giungendo alla conclusione che la leggenda è falsa. L’obiezione che si fa comunemente riguarda il costo del sale che si sarebbe sprecato.
Personalmente sono portata a credere che, con l’odio secolare che lo stesso senato di Roma ha manifestato permettendo ai soldati di saccheggiare la città in lungo e in largo per giorni, requisire del sale ai villaggi vicini non sia sembrata una gran perdita a nessuno. Forse si trattò di un gesto simbolico. In ogni caso né Polibio né Appiano ne parlano e che di Livio non è rimasto niente dopo le guerre macedoniche.
Ringrazio di cuore Alessandro Madeddu per la regia e la lettura a tempo di record.
Mi piace il modo in cui racconti la Storia, dovrebbe funzionare così nelle scuole.
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Grazie! Questo modo di scrivere non solo funziona, ma semplificherebbe la vita tanto agli studenti quanto agli insegnanti.
Il problema è che gli e gli altri non cercano il lato divertente o assurdo o ridicolo della Storia – è tutto un sacrificio. Per fortuna noi qui si racconta e basta! 😀
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Verissimo ,sicuramente la conosceremmo meglio,ma non solo la Storia ,ma anche le “teste” dei potenti e non (cio che pensano e non dicono ehehehh).
Complimenti
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Meno male!
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