Maciullerò quel libro, riga dopo riga, su questo blog, in più puntate. Il mondo deve sapere.
(cit. me stessa)*

Guardatelo bene. Voglio che associate tutte le mostruosità di cui vi parlerò alla sua facciaccia.
Antefatto
Incipit
Dalle finestre di questa casa si vede il nulla. Soprattutto d’inverno: le montagne scompaiono, il cielo e la pianura diventano un tutto indistinto, l’autostrada non c’è più, non c’è più niente. Nelle mattine d’estate, e nelle sere d’autunno, il nulla invece è una pianura, vaporante, con qualche albero qua e là e un’autostrada che affiora dalla nebbia per scavalcare altre due strade, due volte: laggiù, su quei cavalcavia, si muovono piccole automobili, e camion non più grandi dei modellini esposti nelle vetrine dei negozi di giocattoli. Capita anche di tanto in tanto – diciamo venti, trenta volte in un anno – che il nulla si trasformi in un paesaggio nitidissimo, in una cartolina dai colori scintillanti; ciò si verifica soprattutto in primavera, quando il cielo è blu come l’acqua delle risaie in cui si rispecchia, l’autostrada è così vicina che sembra di poterla toccare e le Alpi cariche di neve stanno là, in un certo modo che ti si allarga il cuore solamente a guardarle. Si vede allora un orizzonte molto vasto, di decine e di centinaia di chilometri; con le città e i villaggi e le opere dell’uomo inerpicate sui fianchi delle montagne, e i fiumi che incominciano là dove finiscono le nevi, e le strade, e lo scintillio di impercettibili automobili su quelle strade: un crocevia di vite, di storie, di destini, di sogni; un palcoscenico grande come un’intera regione, sopra cui si rappresentano, da sempre, le vicende e le gesta dei viventi in questa parte di mondo. Un’illusione…

Totoro ha capito tutto. [Opera di *Seiryuga]
Introduzione
Questo era il primo capoverso della Premessa. E vabbè, voi dite, nella premessa uno fa come gli pare, mica è la storia vera e propria. Certo, se non fosse che Vassalli ha qui il suo primo colpo di genio: a pagina 4, fra simpatici discorsi del tipo “sono stato a lungo combattuto se scrivere o no questa storia, ma era troppo bella per non farlo”, leggiamo
Di Antonia, poi, si ignorava tutto: che esistette, che fu la «strega di Zardino», che subì a Novara un processo e una condanna correndo l’anno del Signore 1610…
che immagino serva ad aumentare la suspense.
A lettura completata noto che sul mio Kindle ci sono settantadue pagine di appunti. Costernazione è la parola! Riusciranno le potenti forze del dio Rant a sostenermi fino in fondo all’articolo? Assolutamente no. Questo libro merita una stroncatura coi fiocchi, per cui ne vedrete la conclusione dopodomani.

Ah, che copertina raffinata!
Trama: nel 1610 una ventenne viene condannata per stregoneria. Lo so, è incredibile.
Luoghi: Novara e dintorni sotto la dominazione spagnola.
Genere: sulla carta è un romanzo storico, in realtà è una putrescente mistura di romanzo e saggio, con quel tocco autobiografico che guasta sempre.
Parere della Scienziata: improponibile. Un libro così giustificherebbe qualunque guerra e scisma. Oltretutto il fatto che un ateo – tale si dichiara Vassalli – possa dimostrarsi così cretino offende tutti i non credenti.
Su GoodReads il 78% di coloro che l’hanno letto l’ha valutato con tre o più stelle su cinque, mentre il 4% l’ha schifato con una sola stella.
Nella prossima puntata leggeremo alcuni dei commenti dei polli che l’hanno apprezzato e ci compiaceremo delle nostre menti superiori.
Pregi
Nessuno.
Difetti
Essenzialmente otto, che divido ordinatamente per luoghi.
In primo luogo, a tratti Vassalli fa il saggista e si basa sui documenti storici che ha racimolato, dicendo che “questo non si sa perché le fonti non lo dicono”, e a tratti inserisce dettagli che può solo essersi immaginato. Accade così che possa descrivere le sensazioni di Antonia, la futura strega, mentre fa cadere un vaso da notte (il motivo è una misteriosa fitta all’inguine, sigh) e che non sappia dir nulla sulle sorti di certi personaggi dopo un dato anno.
In secondo luogo, gli spoiler. Sono centinaia. Si presentano perlopiù sottoforma di “[…], come poi si vedrà”. La cosa fantastica è che, quando si arriva al fatto in questione, in agguato c’è sempre un “come già s’è detto”. È Vassalli che si complimenta con se stesso per la prontezza di riflessi.
Il primo è a pagina 4, uno più approfondito a un terzo del libro, da metà in poi si tratta solo – lo stesso autore lo scrive – di vedere le tappe del processo. Chi sarà il traditore che testimonierà contro la piccola strega? Forse il prete che l’ha vista ridere a messa? Forse le comari invidiose della sua beltà? Mah!
In terzo luogo, le spiegazioni. Vassalli si sente un eletto in grado di capire lingue e concetti stranissimi! Qualche esempio a caso.
«Stella matutina!» («Stella del mattino!»)
«Rosa mystica!» («Rosa mistica!»)
«Turris davidica!» («Torre di Davide!»)«Speculum justitiae!», gridava il prete, più forte che poteva («Specchio di giustizia!») «Consolatrix afflictorum!» («Consolatrice degli afflitti!») «Causa nostrae letitiae!» («Origine della nostra gioia!»)
C’è anche un altro tipo di “biscottino”, parimenti fastidioso.
Una neonata viene abbandonata e chi la raccoglie la chiama Antonia Renata (cioè rinata il giorno del suo ritrovamento) Spagnolini.
A quell’epoca, si poteva ancora imporre col battesimo anche il cognome, oltre il nome: […]
Ancora.
[Durante un dialogo – non riportato – tra boia e aiutante]
«E voi?», gli chiese Bartolone. (Entrambi gli aiutanti si rivolgevano al boia dandogli del «voi»). «Voi, che farete?»
Quindi alla spiegazione per scemi si aggiunge la ripetizione di un concetto già evidente. Iniziate a capire perché piace a tutti, no? Spazio per le deduzioni del lettore non ce n’è.

Circolare, non c’è nulla da capire. (OMG, Ed ha i pantaloni kaki come nel libbro!!!)
In quarto luogo, la volgarità gratuita. Non c’è nulla di male nel dire parolacce o nel descrivere scene “esplicite”, a patto che le parole siano in ogni momento adatte al contesto
Qui sotto, nominare gli orfanelli rende assolutamente indispensabile una paginetta di serioso inforigurgito sul mondo degli esposti, spesso il miglior prodotto dei soldati:
a onor dei quali va anzi detto che talvolta, per orgoglio di sangue, per scrupoli religiosi e per chissà quali altri motivi, riconoscevano i loro figli illegittimi davanti al fonte battesimale ed all’altare; e che lo stesso castellano di Novara, don Juan Alfonso Rodriguez de la Cueva, maestro di campo del quinto reggimento alabardieri di Sua Maestà Cattolica il Re di Spagna, puttaniere indefesso se mai ve ne furono e grandissimo fornicatore al cospetto di Dio, portò personalmente in Duomo perché vi fossero battezzati secondo il rito di Santa Romana Chiesa una mezza dozzina di suoi bastardi maschi e femmine, ai quali tutti fece imporre il dolce nome di Emmanuele (o Emmanuela), che significa appunto: «Mandato da Dio».
Don Juan e le sue emanazioni non compariranno mai nel libro. Bisogna però dire che le parole in grassetto nel contesto suonano divertenti… tale è il grado di disperazione raggiungibile a pagina 5.
In quinto luogo, la punteggiatura. Eccheccristo, Seb, negli anni Novanta ancora metti le virgole tra soggetto e verbo? I punti esclamativi dentro gli incisi? I punti di sospensione ovunque? Manco Manzoni! E mi rifiuto di elencare le mostruosità che ho visto.

Perdonate il cattivo gusto, è per una giusta causa.
In sesto luogo, il narratore è non solo onnisciente e intrusivo, ma anche ubriaco. Un minuto parla dei cavalcavia che vede dalla finestra mentre scrive e fa paragoni col mondo moderno, il successivo se ne esce con un “suor Livia era straniera, d’un paese chiamato «Napoli»” del tutto incoerente. Sarà un leghista ante litteram. Oppure:
[…] impresa che non saprei nemmeno definire: disperata?, folle?, di trasformare una diocesi di frontiera […].
Cocco, se non lo sai tu.
Onnisciente, intrusivo, ubriaco e saputello. Seb sta presentando un vescovo quando gli parte il nervo dell’inforigurgito e:
Fu in quella circostanza – scrivono i biografi – che Bascapè si rivolse ai novaresi indicando il suo corpo: «Questo cadavere che voi ora vedete vivo, – gli disse, – e che vi sta parlando, voi tra poco lo rivedrete morto in questo stesso luogo, dove io voglio che sia sepolto». Ma già di fatto era un sopravvissuto a un altro uomo; di cui credo si possa dire, senza far torto a nessuno, che aveva cessato di esistere quando Bascapè, cioè il suo corpo, era venuto a Novara a fare il vescovo, per obbedienza. E quel corpo vestito da vescovo aveva poi continuato a muoversi e a combattere come il cavaliere di cui parla l’Ariosto nel suo Orlando furioso: che rimasto senza testa andava ancora attorno per il campo di battaglia, e tirava di gran fendenti con la spada, perché non s’era reso conto d’essere morto… Gran personaggio, il vescovo Bascapè! Personaggio emblematico di un’epoca, ormai lontana nel tempo e in sé conclusa; ma anche di un modo di in tendere la vita e il destino dell’uomo, che non cessa di riproporsi e che certamente durerà ben oltre il nostro secolo ventesimo… Personaggio che [SPOILER] la fortuna favorì nella prima parte della sua esistenza, dandogli tutto, e poi nella seconda parte sfavorì, togliendogli tutto ciò che gli aveva dato e qualcosa in più. Nobile per nascita, raffinato per educazione e per cultura, buon conoscitore del latino e dello spagnolo, cioè delle due lingue internazionali dell’epoca, brillante scrittore in latino e in italiano, esperto di diritto ecclesiastico e civile e dotato, in più, di un naturale talento di organizzatore e di «manager» [sciatto, sciatto, sciatto! Siamo nel Seicento italiano e parli inglese!]: Bascapè aveva tutte le carte in regola per aspirare a cambiare il mondo – naturalmente in meglio – e per presumere di riuscirvi.
A proposito di sciatteria, l’autore ha il vizio di autocorreggersi. Quando parla di età è tutto un “a quarant’anni, anzi: a trentanove”; altrove, nel mondo dei Grandi Appassionati di Vera Letteratura, questa è raffinatezza.
E a proposito di manager, ossia di arditi confronti con la modernità, ce n’è uno bellissimo:
Come i rivoluzionari russi del 1918 volevano costringere gli uomini ad essere felici, e lo scrissero nei loro manifesti («Con la forza, costringeremo l’umanità ad essere felice»), così tre secoli prima di loro il vescovo Carlo Bascapè voleva costringere i suoi contemporanei ad essere Santi; e, se anche le parole sono diverse, la sostanza è più o meno la stessa.
Peccato, avrebbe potuto ripetere un po’ di più “ad essere felici” e sprecare altre due parole per difendere la validità del paragone.
In settimo luogo, Vassalli, laureato in Lettere, ha serie difficoltà con l’italiano. Nello specifico:
- Con le preposizioni: “sulle spalle due ali di cartone in cui suor Clelia aveva appiccicato centinaia di piume”;
- Con le ‘d’ eufoniche: “ad occhi chiusi”, “ad implorare”, “ed inni”, ma soprattutto – decine di volte – “e Eusebio” e “a Antonia”;
- Con assonanze e consonanze: una ha “sulla testa la cesta dei panni”, un altro la “lebbra che gli rodeva le labbra”. E io so uno scioglilingua in russo, tiè;
- Con le subordinate relative: “visto il modo come andavano le cose”;
- Col congiuntivo: “non c’è niente che stimola la vita, nei giovani e non solo nei giovani, come l’abitudine alla morte!” (con tanto di insegnamento e punto esclamativo, per conferire il giusto tono isterico);
- Col concetto di ovvietà: “Che la tenesse e la trattasse, in ogni circostanza, come una moglie: e si sa, non c’è bisogno di spiegarlo, cosa vuol dire la parola «moglie»…” o ancora “Esclamavano: «Che belle statue! Sembran vere!» (Volendo dire che sembravano persone, o qualcosa del genere).”;
- Con la logica: siamo nel Seicento e i lavoratori delle risaie sono “guardati a vista” perché non fuggano. A naso direi che, in mancanza di telecamere, non si potesse fare altrimenti;
- Con l’anatomia: una suora ha “le labbra contratte in un sogghigno”, e si è impiccata. Ora, a meno di non spezzarsi una vertebra cervicale nell’intento, la morte non giunge abbastanza in fretta per conservare l’espressione che si vuole. Col sangue che non passa nelle arterie e nelle vene del collo (lo so perché lo dicono qui) è pressoché impossibile non aprire la bocca, buttar fuori la lingua e strabuzzare gli occhi. Ma forse il nostro Seb è troppo delicato per informarsi.
Il gran finale fa un luogo a parte.
Tutto finito?
Tutto finito, sissignore. O forse no. Forse c’è ancora da rendere conto di un personaggio di questa storia […]
Vassalli, sei troppo stupido per prendermi in giro!
Subito prima ha finito di riassumere le sorti dei personaggi introdotti all’inizio e lasciati perdere a metà storia: è il momento per una perla di saggezza!
Infine, uno dopo l’altro, morirono: il tempo si chiuse su di loro, il nulla li riprese; e questa, sfrondata d’ogni romanzo, ed in gran sintesi, è la storia del mondo.

Ricorrrdati che devi moriiire!
Un po’ di poesia ci sta bene. Scusate la lunghezza, ma il mio gusto per il macabro è più potente che mai.
E mi sia consentito, a questo punto del racconto, di deporre per un istante la penna, e di soffermarmi a riprendere fiato e slancio: perché qui la materia del narrare s’innalza, e il compito dello scrittore si fa difficile. Ci vorrebbe un grandissimo poeta, un Omero, uno Shakespeare, per parlare in modo degno ed adeguato di quelle liti di cortile della Bassa, che s’iniziavano quasi sempre da un nonnulla: un panno steso, un pollo morto, un bambino morsicato da un cane e poi duravano per secoli, con un accumulo tale di odio tra le parti in causa che, se pure non arrivava a produrre morti sgozzati e finali da tragedia, sarebbe stato comunque sufficiente per dare forma logica e significato ai più atroci massacri della storia; è qui infatti, nelle liti di cortile, che l’odio umano si raffina e si esalta fino a raggiungere vette insuperabili, diventa un assoluto. È l’odio puro: astratto, disincarnato, disinteressato; quello che muove l’universo, e che sopravvive a tutto. L’amore umano, tanto cantato dai poeti, a confronto dell’odio è quasi un fatto inesistente: un granello d’oro nel grande fiume della vita, una perla nel mare del nulla e niente più. Anche le liti d’acqua, pur nascendo da cause d’interesse, del tutto prive di elementi ideali, potevano tuttavia raggiungere ed anzi spesso raggiungevano una loro oscura, negativa grandezza.
Ciliegina sulla torta
Un simpaticone ha fatto “+1” (il Mi piace di Google Plus) sulla pagina Wikipedia dedicata al libro. Se le date un’occhiata, vedete quant’è lunga la sezione sulla trama: tutto in trecento pagine. In effetti, il “romanzo” è una serie di fatti che non avranno ripercussioni sulla vera storia, quella della strega. Stanno lì solo perché l’autore è più concentrato sul background storico che sui fatti. Per questo sappiamo cosa succede nel 1609 nella zona di Antonia, ma nulla sulla stessa Antonia. E come mai? Semplice, perché le fonti non lo dicono.
Tutto ciò è così ridicolo che persino Wikipedia stenta a nasconderlo, dovendo dire che “la ragazza viene costretta a mangiare un uovo e mentre recita la poesia davanti a Bascapè [un vescovo], sviene a causa dell’emozione (e dell’uovo)”. Poverina!
*È stato difficile mantenere la promessa: l’idea di immergermi di nuovo in cotale schifo mi ha quasi convinta a perdere il mio onore di donna di parola. Vederla come una vendetta ha sveltito notevolmente i lavori.
N.B.: l’abbondanza di punti esclamativi sul finale segna il galoppare dell’isteria man mano che scrivevo la recensione. Gli appunti usati sono a malapena un sesto di quelli presi, e ho scritto duemilasettecento parole.
Sto ancora rotolando a terra dalle risate, dopo aver letto la recensione. Mi ricorda Antonio Pennacchi, quel volgare scrittore romano che ha vinto il Premio Strega nel 2010, che non sa scrivere in italiano (mi prestarono il libro, che supplizio). Questa purtroppo è la letteratura italiana.
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A giudicare dai titoli delle sue opere, è un altro che scrive “romanzi” senza raccontare storie. In effetti mi par di vedere che per trovare un pessimo romanzo basta pescare dalla lista dei premi Strega.
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Che Vassalli ha vinto, se ho letto bene. I giurati del Premio Strega devono essere proprio dei gran geni.
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“Di Antonia, poi, si ignorava tutto: che esistette, che fu la «strega di Zardino», che subì a Novara un processo e una condanna correndo l’anno del Signore 1610…
che immagino serva ad aumentare la suspense.”
Sto ancora ridendo!
P.S. non ricordo i punti esclamativi alla fine degli incisi, me ne citi uno?
Non male come recensione (più che altro è un’infamata, ma non importa), attendo aggiornamenti in merito 🙂
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“P.S. non ricordo i punti esclamativi alla fine degli incisi, me ne citi uno?”
Pronti: il primo, pagina 16, è “per evitare che i soldati in libera uscita, assatanati com’erano, e sfrontati!, dedicassero tutte le loro energie a molestare le donne oneste.”; il secondo, pagina 27, “era dovuta andare fino a Novara, in capo al mondo!, per cercarsi e per trovarsi una mocciosa”; il terzo, pagina 34, “una parola, una sola!, sui risaroli”; e altri 175.
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Lo ricordavo come un romanzo volutamente (?) sgradevole e amaro, ma aveva dimenticato le frasi in latino con annessa traduzione (inserirle piuttosto come notazioni a piè di pagina? Mah) Vassali senza dubbio ha ridefinito in peggio il concetto stesso d’infodump, xD
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Ommioddio, il libro me l’hanno regalato un anno fa e lo sto leggendo ora. Mi sembrava ok nelle prime pagine, ma l’esasperazione adesso ha raggiunto un livello tale che non riesco a finirlo. Mi sono detto, suvvia, avrà un finale nichilistico quantomeno interessante. Eppure, andando avanti, non riuscivo a credere a quello che leggevo: ero solo io a vedere merda? Su ibs hanno dato tutti 5/5, e ho dovuto cercare con Google “la chimera vassalli brutto” per trovare una mente sana abbastanza da rincuorarmi. Qualcun altro vede la merda. Grazie, infinitamente grazie. (P.S. sull’introduzione: sembra lo sproloquio del manoscritto all’inizio dei promessi sposi, ma almeno Manzoni stava parodiando il barocco. E anche la trama, lo stile e le digressioni di Manzoni erano meglio nonostante la bigotteria della storia!)
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È vero, pare che al resto d’Italia Vassalli piaccia moltissimo. Credo sia la nostra attitudine da fighetti, o meglio da intellettualoidi.
Comunque anch’io mi demoralizzo parecchio a leggere ‘ste schifezze e ricorro al blog proprio per rincuorarmi, quindi come te sono contenta di aver trovato qualche altro occhio critico.
Manzoni fa più bella figura probabilmente perché si sforza di caratterizzare i personaggi ed evita di spoilerare la fine della storia a un terzo del libro. Il lieto fine è scontato, ma fra prima e ultima pagina succede qualche cosa che almeno ci prova, a creare la suspense…
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di fronte u una stroncatura tale é sorta in me l’idea che ci sia da parte tua/sua (posso darle del tu?) un desiderio, anzi un bisogno, di scaricare rabbia e frustrazione e che l’ipercritica trafficant e sagaci quanto vuole sia un po’ fine a se stessa . Oh come sono intelligente, arguta e sagace! Io scovo quello che gli altri non vedono, a me non la fanno di certo! A prescindere dal fondamento delle sue, tue, argomentazioni, mi viene naturale dirti: rilassati! E mi vengono in mente almeno tre pensieri:
(
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Prego, mi dia del tu.
Quello di rabbia e frustrazione da scaricarsi sui poveri artisti innocenti è un attacco personale verso la sottoscritta (le faccio notare come abbia chiarito che parlava a prescindere dalle mie argomentazioni) che denota in lei la mia stessa “rabbia e frustrazione”: non si preoccupi per me, la cosa non mi fa sentire né arrabbiata né frustrata. ^_^
In ogni caso, se volesse documentare in modo razionale l’infondatezza della mia “ipercritica trafficant” e/o la mia incompetenza, sono a sua completa disposizione.
Mi pare di capire che l’accusa sia la mancanza di modestia. Nessun problema: le do ragione. Ha constatato un’ovvietà, in effetti. Ma sono sicura che gli altri visitatori le saranno grati per il suo intervento: senza di lei, chi l’avrebbe mai capito? Com’è intelligente lei! Scova proprio quello che gli altri non vedono!
Apra un blog.
Invece accetto di buon grado il consiglio di rilassarmi. Una persona tranquilla avrebbe ignorato il suo commento, e invece io, frustrata e senza niente di meglio da fare nella vita… Ah!
Grazie della visita e mi dispiace non sa quanto per il pezzo di commento andato perduto. Tutta rabbia che non potrò sfogare su di lei.
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Manca il classico dei classici: l’invidia. Una dimenticanza data dalla distrazione, sicuramente.
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troppo livore per un libro mediocre.
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Non è livore, non sono cose che ho scritto perché odio Vassalli e *di conseguenza* odio i suoi libri. Sono semplicemente convinta che il tempo di chi legge abbia un valore tale da giustificare un’arrabbiatura se viene sprecato. A leggere schifezze la tua vita peggiora, quindi scriverne (e pubblicarne, e aggiungerei comprarne) è molto simile a un crimine.
Ragion per cui questo blog sta morendo, tra parentesi. 😛
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mi permetto di condividere pienamente il discorso sulla punteggiatura. quando ho letto per la prima e ultima volta il romanzo, mi si mozzava il fiato ogni due parole.
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Che dire? A me Vassalli piace. Mi piacciono le storie che racconta e mi piace il suo modo di raccontarle. Mi sono piaciuti( soprattutto) “Mareblù”, “La chimera”, “Marco e Mattio”, “La notte della cometa”, “Il cigno”, “Abitare il vento”, “Sangue e suolo”. Non mi piaciuto “Dux” e mi hanno lasciato tiepido “Le due chiese”, “Io, Partenope”, “Archelogia del presente”, “Il confine”. La sua morte mi mette molta malinconia: a me questo scrittore mancherà.
Gianni Priano
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A dire il vero, lette le tue argomentazioni, alquanto risibili, l’unica ubriaca appari tu…sono critiche così superficiali che di potrebbero facilmente smontare una ad una, e così rimarrebbe veramente poca roba, per lo più solo rancore…
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Prego, fatti avanti. Possibilmente con un argomento che non menzioni la libertà dell’Arte e della Letteratura e la soggettività dei gusti. Mi basta anche che tu riesca a smontare una sola delle mie critiche.
P.S. Dici che rimarrebbe solo rancore. Mi chiedo rancore verso chi, esattamente.
Forse sarebbe ora di smettere di rispondere ad argomentazioni logiche menzionando rancori, invidie e altre scemenze, ché questo si confà di più ai troll.
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