Operation “Black March”

Illuminata dal sublime Alberello, commentatore di salvifici lidi quali Baionette e Zweilawyer.com, vi propongo un’immagine da lui linkata:

Sì, lo so, c’è un errore ortografico. Pazienza.

Come avrete letto, si tratta di non comprare riviste, giornali, DVD, videogiochi, libri e di non scaricare musica (né legalmente né illegalmente), oltre che non andare al cinema, per tutto il mese di marzo.

È ovvio che non funzionerà. Questo genere di cose, come gli scioperi, non ha mai risultati apprezzabili. Però io parteciperò, e invito tutti voi Lettori a fare lo stesso e diffondere questo comunicato. Bisogna reagire alle ingiustizie, anche con mezzi insufficienti, anche sapendo per certo che sarà inutile. Oltretutto, in questo caso ciò non comporta rischi.

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La Fanucci ha scocciato!

Okay, scusate la scrittura piena di punti esclamativi che risulterà, ma sono furiosa. Avete idea di quanto io odi la serie tv dedicata a Richard, il mio Richard, quello de La Spada della Verità? No che non ce l’avete, neanche io ce l’ho. Ho visto il trailer della prima stagione e ho versato lacrime di rabbia (che poi ho prontamente fotografato come memento): ero così arrabbiata che, volendo alzarmi, non riuscivo a capire perché non ci riuscissi. Poi ho visto che stavo stritolando i braccioli della sedia e ci ho messo un po’ ad aprire le dita. E ora non solo stanno contaminando (leggi: insozzando) quanto di più bello ci sia al mondo, ma mi costringono a comprare le loro schifezze! Ad ottobre esce in Italia il nuovo libro di Goodkind, La Macchina del Presagio, primo di una trilogia. E indovinate chi c’è in copertina, al posto dei disegni di Keith Parkinson (opportunamente deceduto)? Quei buffoni degli attori della serie:

The Omen Machine. Notare la faccia di bronzo degli attori. Mi prudono le mani.

 Che faccia da schiaffi! Li prenderei a pugni, tutti insieme! Altro che la spada di alluminio di quell’altro idiota in secondo piano! Donna, chiunque tu sia: chiudi la bocca, ché entrano le mosche, stupida. Le persone intelligenti non stanno a bocca aperta! Ah, e poi Richard è biondo. Biondo, gente, biondo con gli occhi grigi. E la Madre Depositaria non è Nihal: si veste.

Dunque, comprerò il libro appena uscirà. Poi occulterò la copertina con la carta argentata (nome scientifico: stagnola) e non ci penserò mai più. Vergogna, Fanucci Editore! Mi vendicherò mettendo a ferro e fuoco invadendo la libreria come una furia e facendo fuggire donne incinte e bambini! E a poco servirà trincerarvici dentro, sfruttando il preavviso che ho appena dato: so come affrontare un assedio, la prenderò per sete. U.U

Dilemma filosofico

Cito da Marco Aurelio:

Quando si muore, vecchi o giovani che si sia, si perde tutti la stessa cosa: il presente, la vita che si sta vivendo in quel preciso istante. Nessuno infatti perderà mai altro, né il passato né il futuro, per il semplice fatto che nessuno può perdere ciò che non ha. Perciò non c’è alcuna differenza tra chi muore carico d’anni e chi muore giovane.

Questo è uno scoop, perchè, per una volta, non ho messo questo passo per propinarvi un’interpretazione intelligente (se non brillante, com’è mio solito) a riguardo, ma per sapere cosa ne vogliano dire i miei Fiduciosi Lettori. Perchè io non so bene cosa pensare. Voglio dire, il ragionamento è logico, presupponendo però che nulla che non sia tangibile ci appartiene… Eppure c’è qualcosa che stona, lo sentite?

Forse non si possiede nè passato nè futuro, ma noi influiamo su quest’ultimo. E, com’è giusto che vadano avanti le persone più dotate – a scapito degli inetti – , così sarebbe meglio che un vecchio rinunciasse al proprio futuro per garantire quello di un giovane, perchè c’è differenza di utilità. Un giovane lavora e produce ricchezza, che fa migliorare le condizioni di vita di tutta la comunità. Pensate solo a quante tasse paga un lavoratore, e a quanti soldi succhiano i pensionati allo Stato! Di conseguenza, la differenza tra la morte di un giovane e quella di un vecchio è netta, e questo mi porta a contraddire Marco Aurelio.

Ma, ancora una volta, non posso nemmeno dirmi in disaccordo con lui, perchè la teoria lo spalleggia. Guardate, quello che mi manda in crisi è la seconda frase: Nessuno infatti perderà mai altro, nè passato nè futuro, per il semplice fatto che nessuno può perdere ciò che non ha. È tremendamente vero, è perfetto. Non me lo spiego.

C’è anche un’altra cosa, che non solo contraddice Marco Aurelio, ma pure quanto io stessa ho detto finora: se un giovane ha la possibilità di realizzare cose grandiose nel futuro, e per questo deve avere la precedenza su un vecchio, come si potrebbe sacrificare un vecchio che nel passato ha fatto cose grandiose, in favore di un giovane che non ha dimostrato ancora nulla? Non si può correre il rischio di ammazzare – poniamo il caso limite – la certezza di una persona valida, che potrebbe essere di nuovo utile, solo in vista di un’opportunità!

Non lo so. Detesto essere indecisa. Per sbilanciarmi a tutti i costi vi dico che, in questo momento, se fossi vecchia mi sacrificherei solo per qualcuno che io personalmente ritengo valido più di me. Ma questo implica che io abbia il potere supremo in mano, per scegliere chi è degno e chi no! Per fortuna, sarei coerente, perchè se fossi la giovane che deve sopravvivere ad un vecchio, lo pretenderei solo e soltanto se questi non fosse più valido di me. Ancora, se la decisione non fosse in mano mia, la domanda è: Mi atterrei alla legge marziale? Mi subordinerei a chi mi è superiore di grado? Sì, ma con riserva…dovrei ritenere il superiore più valido di me!

Compito per casa

Ho appena ripescato con nostalgia un mio compito di Epica dell’anno scorso – primo liceo scientifico – sull’episodio dell’Iliade che vede Andromaca pregare invano Ettore di restare con lei e il figlio, invece di farsi macellare da Achille.

Giusto per fare un po’ di autocelebrazione (ma soprattutto, ai miei occhi, perchè mi fa piacere riportare a galla i ricordi), lo riporto.

“Ettore decide di non ascoltare le parole di Andromaca: il suo comportamento è dettato dall’egoismo e dal desiderio di gloria o da altri sentimenti? Argomenta opportunamente la tua risposta.”

 A mio avviso, il comportamento di Ettore è dettato da egoismo e fama di gloria allo stato puro. Posso riassumere le mie motivazioni in una sola domanda: che gloria c’è a lasciare morire degli indifesi senza dar loro neanche la possibilità di cercare di salvarsi la vita? Che diritto ha Ettore di privare i compatrioti della sua guida? Lui non ha la responsabilità solo di se stesso, ma di ogni uomo, donna o bambino presente a Troia, e li condanna personalmente a morte. Tanto valeva, allora, consegnare la città non appena fossero giunti i Greci, dieci anni prima; almeno ci sarebbero stati meno morti. Certo, è difficile scegliere tra vita e libertà, ma in fondo si è schiavi solo quando ci si convince di esserlo.

Come può Ettore guardare negli occhi sua moglie e i suoi soldati, sapendo che li sta consegnando al destino peggiore che potranno mai patire? Forse pensa di sacrificarsi per chissà quale nobile ideale. Io dico che l’unico sacrificio valido è quello fatto da un punto di vista razionale: ci si sacrifica per far sì che un nostro caro continui la sua vita, ad esempio, e non di fronte alla prospettiva di una gloria imperitura. Per far questo, o si deve essere sadicamente coraggiosi, o assurdamente sciocchi.

Per amore di qualcuno – se non della propria sposa, almeno dei figli – si rinuncia a tutto, anche alla gloria.

Si può guardare il proprio figlio e desiderare che soffra, per sé e per i propri genitori? Io penso di no. Solo una visione superficiale della vita – che equivale a stoltezza – o, come ho detto, una forma di pazzia possono portare a questo.

Tutto, ma non la ragione, la razionalità, il senso di giustizia e di amore. Il sacrificio di se stessi per un ideale diverso da questi è pura e mera follia, e può venire solo da un profondo disprezzo per il genere umano e la vita.

Ettore è morto invano, e centinaia – forse migliaia – di persone con lui, per i suoi stessi motivi oppure perché non hanno avuto possibilità di scelta.

L’egoismo e la vanagloria di persone come lui – campioni del sacrificio, ‘eroi’ – non hanno limiti: essi abbandonerebbero ogni cosa, materiale e morale, pur di far sì che noi ci ricordiamo i loro nomi.
Già. L’importante è ‘come’ li ricordiamo.

È una scrittura un po’ puerile anche rispetto a quella che ho adottato per questo blog, lo so bene. E poi la risposta non tiene conto dell’ambito culturale in cui venne scritta l’Iliade. Ma è comunque un modo di pensare diverso dal solito! Già la consegna, tra l’altro, indirizzava verso l’opinione opposta.

Oggi, sebbene creda negli stessi principi, l’esercizio mi verrebbe molto più banale: direi subito che l’Iliade si ispira ai valori vigenti fra i Greci del XIII – VIII secolo a.C., parlerei della morte per la gloria imperitura e non per la patria, della concezione di eroismo, eccetera eccetera. In sintesi, sarei molto più noiosa e pedante e sapientina, pur di fare un’analisi completa. Ma concluderei dicendo che Ettore è ugualmente nel torto, indipendentemente dall’opinione pubblica dell’epoca!

Come disse la prof migliore del mondo, la mia opinione è ‘ben strutturata, anche se non condivisibile’.

Sospiro…

A volte mi capita di desiderare che gli amici abbiano un po’ più di tempo per me, solo e soltanto per me. Succede di stufarsi di fare la coda dietro tutti gli altri sconosciuti che si contendono le persone con cui condividiamo i momenti migliori…perchè, quando il nostro migliore amico sta con un altro, sembra che cambi faccia, che diventi un’altra persona. E quindi pensiamo che solo noi lo conosciamo per quello che è davvero, che lui è nostro, che noi siamo i suoi preferiti, anche se a volte è costretto a farci mettere in fila.

In realtà quelli che si mettono in fila con noi non sono altro che tanti avvoltoi che cercano di strappare dall’amico il brandello più succulento. E noi con loro.

Credete che non sia vero? Forse allora siete di quelli che non stanno mai da soli, che hanno un gruppo all’interno del quale tutti sono allo stesso grado di intimità l’uno con l’altro. Forse non avete un migliore amico.

Ma se siete di quelli che non riescono a mantenere più di un amico ogni tanto – proprio a causa di questa gelosia – , o semplicemente di quelli che amano stare con una sola persona alla volta, allora sapete di cosa parlo. Quando il vostro amico vi dice che deve scappare, che non può rimanere tutto il giorno a parlare con voi, perchè altri amici – che non siete voi – lo aspettano per divertirsi…beh, non potete dire che non vi è mai successo.

Ci siete rimasti male? Ne sono quasi sicura. Anche a me dispiace essere solo un pezzettino minuscolo delle vite che toccano la mia, eppure è inevitabile: gli amici non esistono per noi, nè noi esistiamo per loro. Hanno una vita dalla quale noi saremo per sempre esclusi, per quanto possiamo considerarli parte di noi.

Questo tipo di connessione esiste solo tra genitori e figli. Solo che i genitori non ci scelgono.

In particolare, una cosa che fa male è sapere quanto possano essere indipendenti gli amici – e quanto invece possiamo diventare dipendenti da loro. Ad inizio estate, per esempio, io penso sempre che non camperò felicemente senza vedere la mia classe e le mie pochissime amiche. L’errore che faccio sempre, però, è quello di pensare che gli altri mi vogliano bene allo stesso modo…cosa impossibile, se mi conoscete. Ma ci spero sempre, e in questo non sono affatto razionale.

Dicevo. Dicevo che non sono al centro della vita di nessuno, quindi che diritto ho di sentirmi infelice quando i miei amici mi raccontano quello che faranno durante le vacanze? Non dovrei essere contenta per loro? Sì che dovrei, e lo sono. Però non è la sensazione dominante.

La sensazione dominante è la consapevolezza che se non ci fossi non cambierebbe nulla. Dopotutto, cosa ho fatto di straordinario nella mia vita?

Ora sorrido, perchè ho appena scritto, senza riflettere, la frase pronunciata da Giulio Cesare di fronte ad una statua di Alessandro Magno, prima dei suoi folgoranti successi. Giulio Cesare!

Più terrificante di tutto è la paura di essere dimenticata. Io me lo sento che sarà così: finchè sarò fra i piedi, qualcuno mi sopporterà e si ricorderà che ci sono. Trasparente, noiosa, ma ci sono. Poi, quando non sarà indispensabile mantenere i rapporti, io smetterò di esistere nelle menti e nei cuori di coloro che mi giuravano che mi avrebbero ricordata. Lo so che andrà tutto male, lo so, lo so, lo so.

Eppure, come ho detto, la speranza resta. Forse esiste una persona per cui significo qualcosa. Magari riuscirò a sopravvivere all’estate…

Ecco, se perdessi la fiducia nell’impossibile sarebbe tutto più facile. Smetterei di soffrire per tutte le persone che mi illudono e poi non tengono fede alle loro stesse parole. Persone ottuse, perchè non capiscono che così starò peggio di prima, e vigliacche, perchè non hanno il coraggio di farmi male prima che sia troppo tardi, e mi fidi…

Sto facendo la vittima? La risposta è no. Questo è il mio blog e non vi costringo a leggerlo. Inoltre, questo post non è indirizzato a nessuno. Sto solo cercando di farmi coraggio…di prepararmi all’ennesimo dispiacere. E, se sto ancora qua a scrivere su un blog proprio niente male, il coraggio ce l’ho in abbondanza. Mi sento così vecchia, come se avessi già visto quanto di più orribile la vita potesse propormi. Eppure so che questo non è niente, perchè le delusioni più grandi devono ancora arrivare…perchè quest’anno ho la sensazione di avere qualcuno che mi vuole bene, e quando mi butterà via sarà difficile ricominciare daccapo. Aspetto che la barca affondi.

All’uomo non capita nulla che dalla natura non sia stato formato a sopportare.

Senti chi parla!

 La verità è che la mediocrità è diventata una virtù. E in un mondo del genere cosa si potrà mai costruire? La gente soffrirà senza neanche chiedersi il perchè, tanto ha sempre vissuto così, e se il sistema della mediocrità è sopravvissuto così a lungo significa che non può essere sbagliato, no?

Non mi credete? Fate una prova: chiedete a qualcuno che obiettivo ha nella vita. Così, a bruciapelo. Ve lo dico io cosa succede: verrete intercettati da uno sguardo vitreo. E nel migliore dei casi vi chiederanno di spiegarvi meglio, altrimenti vi diranno un generico “Non so”. Ecco, qui la mediocrità si manifesta sottoforma di indifferenza: la gente non si fa domande, e quindi non si dà risposte!

Così avevo detto in un passato articolo. Tralasciando un piccolo particolare: e io? Ho parlato tanto di persone mediocri, e poi non vi ho detto come avrei reagito io (che mediocre non sono, mettetela come volete…).

La domanda era che obiettivo avessi nella mia vita.

Bene, nonostante le mille incertezze – non so cosa studierò all’università, che lavoro farò, dove andrò a vivere, eccetera – , nonostante le mille incertezze, ho la più assoluta sicurezza del fatto che il mio obiettivo è essere razionale. Questo vuol dire che, qualunque cosa mi possa accadere, io so che devo sempre comportarmi come la persona che desidero essere.

So che sembra poco concreto, ma non è così. Pensateci: anche se il paragone è oltremodo oltraggioso per me, è un po’ come se avessi i miei personalissimi Dieci Comandamenti in testa, e vivessi con la sola aspirazione di rispettarli. Non è affatto lontano dalla realtà, non credete?

L’unica, sostanziale differenza, è che io possiedo uno spiccato senso della moralità – a differenza e a discapito dei credenti!

È un obiettivo estremamente lontano per me. Però ho una grande voglia di realizzarlo. Ora come ora, non esiste alcuna cosa – e alcuna persona – al mondo che mi interessi così tanto. Non i miei genitori, non i falsi amici che mi sono creata, non i miei amati Romani, non il luogo in cui sono nata nè tantomeno quello in cui vivo. Solo la Ragione…e le persone che condividono appieno questo sentimento (mai viste).

Potreste pensare che io non sia meno fanatica di un kamikaze, o di un qualsiasi assatanato fra i religiosi. Eppure non c’è contraddizione, perchè la Ragione, per sua stessa natura, rende impossibile il fanatismo. La ragione non è una dea che va venerata, ma un’idea. Al contrario di ciò che dice Silla, le idee sopravvivono agli uomini e li possono guidare. Il concetto filosofico di razionalità ha radici nel mondo greco, e l’Oggettivismo è soltanto uno dei nomi con cui oggi va di moda chiamarlo. L’uomo mette al centro di tutto le proprie idee, in quanto il pensiero razionale è la più alta forma di nobiltà. Arte allo stato puro.