Gail Wynand, seduto al suo scrittoio in ufficio, leggeva le bozze di un articolo sul valore morale di avere delle famiglie numerose. Quelle frasi convenzionali e ampollose gli sembrava avessero il sapore della gomma da masticare masticata e rimasticata e ruminata e maciullata e sputata fuori e raccolta di nuovo, passata da bocca a selciato di marciapiede, da selciato a bocca, a suole di scarpe e a denti, di nuovo.
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Nella prima puntata abbiamo sbirciato la personalità dei due eroi randiani e le loro convinzioni personali. Oggi vediamo degli ideali di portata più ampia.
Il romanzo insiste molto sulla distinzione fra creatori e parassiti.
I creatori sono le persone dotate di genio ed estro che portano l’innovazione e il progresso. Sono caratterizzati da un forte individualismo, che li spinge ad avere occhi solo per sé e la propria arte.
Nelle parole di Roark:
Agli uomini è stato insegnato che è una virtù andar d’accordo con gli altri. Ma il creatore è l’uomo che non va d’accordo. Agli uomini è stato insegnato che è una virtù nuotare con la corrente. Ma il creatore è l’uomo che va contro corrente. Agli uomini è stato insegnato che è una virtù saper stare insieme. Ma il creatore è l’uomo che sta solo. Agli uomini è stato insegnato che l’io è sinonimo di male, e l’altruismo il sinonimo della virtù. Ma il creatore è l’egoista nel senso assoluto e l’altruista è colui che non pensa, non crede, non giudica e non agisce.
Il problema qui è prima di tutto linguistico, quindi lavoriamo di vocabolario.
L’altruismo è “viva inclinazione e amore verso il prossimo, che concretamente si traduce nel dare disinteressatamente il proprio aiuto morale e materiale alla risoluzione di problemi, difficoltà, necessità altrui”.
L’egoismo è “atteggiamento che implica la subordinazione dell’altrui volontà e degli altrui valori alla propria personalità; nel linguaggio comune, amore eccessivo ed esclusivo di se stesso o valutazione esagerata delle proprie prerogative che porta alla ricerca permanente del proprio vantaggio, alla subordinazione delle altrui esigenze alle proprie e alla esclusione del prossimo dal godimento dei beni posseduti”.
Tralasciando il fatto che mi pare impossibile dare senza aspettarsi nulla in cambio, è evidente nella seconda definizione la disparità fra il significato proprio e quello comune.
È da stupidaggini come questa che nascono religioni e correnti di pensiero come l’Oggettivismo, cioè la filosofia di Ayn Rand: basta usare le parole in accezioni che non hanno.
Se il concetto di egoismo, di per sé neutro, non avesse avuto un senso negativo, non sarebbe stato necessario cercare di rivalutarlo in senso positivo, stravolgendolo ulteriormente. Allo stesso modo, è stato il cattivo uso delle parole nel linguaggio comune a permettere alla Rand di forzare nel concetto di altruismo un senso di sacrificio e abnegazione ingiustificato.

Sono fissata su queste cose, scusate.
Ciò chiarito, possiamo stare al gioco. È meglio farsi martirizzare dalla società o mettere in secondo piano le proprie convinzioni per amor di quieto vivere?
Da un punto di vista pratico, si tratta solo di calcolare quanto tempo resisteremmo scegliendo una delle due alternative. È molto nobile sia fare la guardia al proprio onore che lasciar vivere in pace chi ci circonda, ma se non riusciamo ad andare fino in fondo non ha senso. Anche se non è possibile passare un’intera esistenza a testa alta (o bassa), penso sia sufficiente uscirne senza troppi fallimenti.
Io finora mi sono potuta permettere di sfidare tutti e uscirne viva, ma è stato un caso. Prima o poi arriva la fatidica mazzata che ti riporta coi piedi per terra.
È così evidente che mi sto preparando psicologicamente all’università? D:
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Eppure un mese fa ero ancora a questo stadio.
Continuando sulla scorta della dicotomia egoismo-altruismo, la Rand dice un paio di cose che mi piacciono.
Fare di un gesto di carità la più alta prova della virtù significa fare della sofferenza la parte più importante della vita. L’uomo deve desiderare di veder gli altri soffrire, per poter meglio essere virtuoso? Tale è la natura dell’altruismo.
Corollario,
l’altruismo è diventato una forma di egoismo così totale, così assoluto, così dannoso che un uomo veramente egoista non riesce a concepirlo.
A questo proposito ho una storiella fresca fresca che mi pare confermarlo.
Attualmente sto seguendo qualche lezione sulla gestione pacifica dei conflitti. È allucinante, ne riparlerò. In sostanza dovrei credere che, quando abbiamo un problema di natura emotiva con un conoscente, bisogna assolutamente dirgli i sentimenti che ci turbano, perché così ci alleggeriamo di un peso che altrimenti andrebbe ingigantendosi col tempo.
Quindi immaginatevi la scena. Un amico vi fa uno sgarbo, poi un altro e un altro ancora. Voi accumulate nervosismo, rabbia, quello che è. A un certo punto non ne potete più, gli telefonate e gli dite: “Guarda che quando ti comporti così io ne soffro proprio”.

“Tessoro! Con un bacino la bua passa subito!”
Il fatto è che un individualista, cioè l’egoista randiano, valuta la possibilità che al prossimo non interessino i suoi sentimenti come a lui stesso non interessano quelli degli altri. Come se potessero fargli del bene! Nella maggior parte dei casi serve solo a estendere il disagio e indebolire i legami. Empatia percepita come egoismo.
Invece la persona diretta, convinta che dire sempre le cose come stanno significhi eliminare le incomprensioni, agisce davvero da egoista. Eppure sembra che sia questa la vera onestà.
Io penso proprio che serva solo a darsi una pacca sulla spalla da soli.

“Ma quanto sono furbo.” *pat pat*
Specifico che questo è ciò che credo, ma che non sempre faccio. In realtà sono la prima a non pensare a ciò che prova chi mi ascolta… e a essere etichettata come persona onesta. Non è così che s’inquadrano le persone. ^_^
Okay, passiamo alle cose serie, quelle che non mi fanno dormire la notte.
La questione su cui mi sono dovuta scervellare di più viene da una battuta del cattivo del romanzo, Ellsworth Toohey:
Bisogna stabilire dei tipi di successo accessibili a tutti, ai più insignificanti, ai più inetti e ostacolare l’impeto verso il miglioramento, la perfezione, il sublime.
Lasciate perdere tutto dalla prima virgola in poi, la prevedibile frecciata a comunismo e socialismo.
Il primo pezzo mi pare sensato: non sarebbe giusto dare a tutti la possibilità di realizzare i propri sogni? Anzi, essere felici non è proprio un diritto?
A rispondere di no è la meritocrazia. Se i migliori devono aprirsi la strada, lo faranno per forza camminando sulle teste dei mediocri.
Però è anche vero che la società progredisce solo se i migliori hanno i mezzi per eccellere, al diavolo gli altri. Anche se quell'”al diavolo gli altri” significa miliardi di vite sprecate, o comunque insoddisfacenti.
Quindi ecco il problema: il bene comune – mi si accappona la pelle solo a scriverlo – si fa permettendo a tutti di trovare la felicità o mandando avanti chi è in grado di fare sia la propria che, indirettamente, quella degli altri, pur rendendo infelice un buon numero di persone?
L’esempio più ovvio è quello del ricercatore scientifico o del medico e, parzialmente, dello scrittore.
Ognuna di queste professioni è orientata a far stare bene una comunità, fisicamente o intellettualmente; in ognuna più sali di grado e più gente aiuti, ma sminuisci anche quelli con cui competi.
Il danno arrecato ai mediocri sembra irrilevante, e in effetti il lato meno meschino del vivere in una nazione moribonda è che chi fallisce non viene emarginato.
Anzi, se siete maschi e possibilmente sotto i trenta, essere un caso perso vi rende affascinanti: approfittatene per farvi tatuaggi e piercing vari, finché il modello asiatico non vi fa rigare dritto.
Mi chiedo cosa succederebbe se l’ansia di primeggiare si diffondesse anche qui. Persino la crisi sta dando una mano, in questo senso, coi tagli all’istruzione e al lavoro.
In queste condizioni solo i migliori e i peggiori vengono (più o meno) aiutati; e chi sta in mezzo? I comuni mortali che non hanno né handicap né talenti mostruosi e che vorrebbero solo starsene in pace? Sayonara, felicità!
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Bene. Prima di lasciarvi andare, vi propongo l’idea che mi ha colpita di più.
Se io fossi stato duramente colpito da un uomo, credo che non potrei perdonare. Ma penso che nessun uomo possa veramente percuotere un altro, né colpirlo, né aiutarlo.
Lo ammetto, non mi era mai capitato che uno scrittore toccasse un mio tasto dolente! È stato bello leggere di qualcuno distaccato quanto me.
Immagino che i pensieri retard debbano venire, prima o poi. Spero.
Io solitamente odio commentare post “derivanti” da recensioni a romanzi o racconti che non siano la trascrizione della purà realtà.Ma qui è obbligatorio fare una eccezione.Amnel ha preso frasi,atteggiamenti,e tutto quello che poteva servirle per evidenziare dei comportamenti che ritroviamo nella vita comune e che hanno un impatto fortissimo sulla nostra esistenza e sul funzionamento della nostra società.Come al solito il suo modo di approfondire parte spesso da visioni assolutamente anticonformiste,però questo viene fatto con una lucidità,intelligenza,e capacità di sintesi veramente, ma veramente brillanti.Il numero degli “aspetti” affrontati è cosi alto (considerando che ognuno di essi necessiterebbe di un post a sé) ed essi sono cosi concatenati nel ragionamento logico che onestamente non riesco a fare un commento“unico” sul post…ma mi limitero ad alcune frasi.E’ un po’ come guardare un brillante, avverti la maestria nel crearlo, ti piace la sua luce,ma più in là non puoi andare…se guardassi ogni sua sfaccettatura perderesti il suo insieme.Io ammetto di averlo letto più volte,e aver avuto la sensazione di una mia pochezza mentale che mi ha costretto a soffermarmi spesso su poche parole.
“. È meglio farsi martirizzare dalla società o mettere in secondo piano le proprie convinzioni per amor di quieto vivere?” = Se hai convinzioni veramente valide,che hanno un impatto su chi ti sta attorno = non devi imporle, devi crearti una vita che le sublimi e costringa gli altri a seguire il tuo esempio.Nel nome del miglioramento,una cosa seguita di spontanea volontà è sempre più performante, una imposta funziona solo se “pungolata” dalla paura indotta (..e questo è aberrante).
“..L’uomo deve desiderare di veder gli altri soffrire, per poter meglio essere virtuoso? Tale è la natura dell’altruismo..” No.L’uomo virtuoso è,secondo me, chi vigila sugli altri,chi ne capisce le esigenze e interviene quando necessario e nella giusta misura (l’aiutare troppo può portare,chi riceve l’aiuto, ad essere incapace di aiutarsi da se anche nelle piccole cose).Chi aspetta un disastro per prodigarsi è un cinico pavone che è in attesa di fare la ruota.Egli che conduce una esistenza che lo appaga cosi poco tanto da desiderare una avversità che,affrontata, possa darle un senso che non ha.“…Ognuna di queste professioni è orientata a far stare bene una comunità, fisicamente o intellettualmente; in ognuna più sali di grado e più gente aiuti, ma sminuisci anche quelli con cui competi…”Quelli con cui competi non potranno che migliorare seguendo la strada che tracci…e di certo ne trarranno grossi benefici….di certo non arriveranno mai a te,altrimenti la strada la traccerebbero loro.“…Bisogna stabilire dei tipi di successo accessibili a tutti..” non ci devono essere limiti al successo,come non ce ne devono essere al miglioramento…..L’essere felici è tutt’altra cosa,è lo stare bene con se stessi quando si raggiungono gli obbiettivi che ci imponiamo da noi.Gli obbiettivi imposti dall’esterno sono spesso falsi e creati per manipolarci imponendoci scelte che altrimenti non faremmo.Ma penso che nessun uomo possa veramente percuotere un altro, né colpirlo, né aiutarlo.Questa secondo me è una questione di sensibilità.Se vogliamo gustare a fondo il dolce della vita,sentiremo anche il dolore.Se saremo così duri da non farci mai colpire,aiutare….e anche amare, fino in fondo di certo saremmo invulnerabili ai grandi dolori…ma non saremmo capaci di grandi amori..Queste sono miei pensieri,completamente opinabili……e qui mi fermo,perché per approfondire tutto il resto servirebbero tre commenti come questo.Spesso mi chiedo perché sono quasi esclusivamente si questo blog…e perché leggo tutti i post fino in fondo….e spesso più volte…..dopo aver letto questo ho capito il perché.Gladiumibericum.
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“Quelli con cui competi non potranno che migliorare seguendo la strada che tracci”? Gladium, sei proprio un ottimista! Le persone normali si deprimono e diventano un po’ più fiacche ogni volta che vengono battute! 😉
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