Lo strascico della chimera

Come promesso, paragoniamo la mia recensione a quelle dei principali network sui libri, quasi tutte da 4 stelline su 5. Prendendo spunto da questo articolo, le ho raggruppate in base al tipo di lettore.

Il cialtrone

E’ il secondo Vassalli che leggo.
E mi è piaciuto da morire. Mi è piaciuto il taglio storico, il lavoro di studio e di documentazione che c’è sotto e che si vede perché l’autore entra spesso a più pari nella narrazione, difendendo il suo ruolo di autore.
La storia si svolge a cavallo fra il 1590 e il 1610 e non si fa problemi di dare un quadro molto chiaro e lampante di quella che era la realtà di paese, ma non solo, allora.
Per poi scivolare, grazie a una precisa “realtà dei fatti”, in quella che è la storia del mondo, di tutti, qualsiasi sia il tempo.
Zerbino cresce, succhia vitalità, condanna, giudica, trova capri espiatori, crede a quello che non vede, modella quello che vede, festeggia e poi sparisce. Il tutto sotto l’occhio coinvolto e colpevole di chi non propone, non è in grado di proporre un’alternativa diversa, un’alternativa di vita.

Faccio notare che ha trasformato il nome del paese che tanto l’ha colpita da Zardino a Zerbino. Pensare che non abbia letto il libro significa saltare alle conclusioni?

L’intenditore

Il lessico di Vassalli è ricercato e perfettamente mimetico: se il narratore non s’introducesse spesso con commenti che rimandano ai giorni nostri, paragonando questa o quell’usanza al mondo moderno, potrebbe quasi sembrare un romanzo dell’epoca.

Esatto, meno male che l’autore ogni tanto s’intromette, altrimenti potremmo immedesimarci.

Per concludere: un libro non semplice da leggere, né scorrevole, ma che illumina su una barbara superstizione che solitamente, nell’immaginario comune e nella letteratura, viene attribuita principalmente alla Francia prerivoluzionaria, alla Spagna dell’Inquisizione, all’America puritana, ma che, senza scomodarci troppo, è appartenuta anche al nostro paese.

A parte il fatto che il libro è semplice – come detto, non c’è nulla da capire – ci sono due errori. Il primo è che non illumina su un bel niente, visto che non descrive torture né interrogatori e contempla un solo caso scelto fra i più banali; il secondo è che l’immaginario comune non sbaglia di molto nella collocazione dei peggiori focolai di stregoneria: Germania, Spagna, Nord Italia, Francia, Inghilterra sono state davvero le zone con più roghi. Il mito da sfatare semmai è legato al tempo: parli di streghe e un po’ tutti pensano all’Anno Mille*, quando il picco di condanne è stato a pochi anni dalla chiusura del Tribunale. Vale a dire proprio fra il Cinquecento e il Seicento, periodo in cui La Chimera è ambientato.

L’intenditore anglofono (più o meno)

“La Chimera” is like the perfect combination of “The Bethrothed” by Alessandro Manzoni, “Narcissus and Goldmund” by Herman Hesse and “The Moon and the Bonfire” by Cesare Pavese with a shade of Umberto Eco’s erudite irony.

Da che mondo è mondo vale l’equazione “nomi famosi = qualità”. Chi non apprezzebbe il senso dell’umorismo di Eco? Eppure la parte preoccupante viene dopo:

And yet I understand all those young students who complain about it considering “La Chimera” slow and boring. This is definitely a book you shouldn’t force sixteen years old guys to read at school: they will simply destest it.
Just let them grow up and discovering it by themselves. The ones who will are not going to complain about their choice.

Peter Pan diceva che gli adulti sono scemi. Io penso che lo scoprirò a diciott’anni, manca poco.

L’embrione di lettore consapevole

Sono numerosissime le figure delineate nel romanzo, tanto che, a volte, si ha l’impressione che l’autore si disinteressi della storia principale […]

Beh, finché resta un’impressione non andrà lontano, ma è un inizio.
Come non detto, il recensore si corregge subito:

Personaggi, storie, gesti, atmosfere contribuiscono a creare il minuzioso eppur emozionante affresco di un romanzo storico che si legge con compulsività malgrado gli spazi bianchi sulla pagina siano ridotti al minimo, le descrizioni arrivino al dettaglio e le deviazioni si aprano con frequenza: certo, un minimo di attenzione è necessaria, ma la fatica è ampiamente compensata (e la conclusione a dir poco splendida).

L’elemento ricorrente è la difficoltà di lettura. Parlarne dovrebbe far sentire intelligente chi, nonostante le condizioni improbe, è riuscito ad apprezzare il risultato… eppure questa gran difficoltà non c’è, quindi chi la trova si autodichiara un po’ scemotto. A meno che il disagio non stia nel sopportare la totale mancanza di difficoltà!

L’ermetico

Storia dolce e amara di sconfinata bellezza.
E’ stata la lettura di una notte: Antonia non sono riuscita ad abbandonarla fino alla fine, fino all’ultima pagina. Non è cosa semplice questo libro.
Puntini di sospensione e dissolvenza brumosa.

Ma siete capaci di mettere l’accento su quel verbo essere? Dovete proprio mettere sia il pronome che il nome? Non siete dal fruttivendolo! Coff coff.

Il vago

Affresco di un’epoca affascinante, terribile e poco nota, restituito dall’autore con insolita sensibilità, profondo amore per la sua terra e accurata precisione storica.
La narrazione, i cui particolari non sono mai lasciati al caso, coinvolge il lettore dalla prima parola all’ultima, senza annoiarlo un solo istante.

Affascinante e terribile, un po’ come… Come… Vabbè, ci siamo capiti. Solo una cosa non mi spiego: perché non scrivere direttamente “precisa precisione” o “accurata accuratezza”? Assonanza e consonanza sono figure molto poetiche!

Vendetta!

La mia vendetta su Colei che mi fece leggere La Chimera consiste nel nominare un buon saggio per i curiosi: Il libro nero della caccia alle streghe, di Vanna De Angelis. Fa esempi specifici tratti da epoche diverse, dal 1370 al Settecento e, con le sue trecento pagine, è perfino più corto della Chimera. È una perla all’interno di una trilogia per il resto piacevole, ma poco affidabile. Gli altri due volumi, Le streghe e Dalla parte delle streghe, trattano per esteso il fenomeno della stregoneria, dal Duecento all’Ottocento, con moltissime divagazioni – ben inserite, in questo caso – su leggende e credenze popolari.

L’Autrice

La De Angelis ha dominato la mia infanzia.
La trilogia di romanzi Il Grande Gladiatore — La Notte del Gladiatore — I Giorni del Colosseo si svolge nell’arco dell’Anno dei Quattro Imperatori (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano) ed è stata scritta insieme a Dario Battaglia, fondatore dell’Istituto Ars Dimicandi. Che non è poco. Anzi, è così tanto che le devo la mia passione per l’antica Roma e mi ha insegnato un mucchio di parole latine prima ancora che sapessi cosa fosse, il latino.
I cacciatori del tempo, un fantasy, non è altrettanto valido – un clichè ambulante – ma è scritto con onestà: è il genere di libro prevedibile e senza colpi di scena che occupa un pomeriggio senza farlo pesare.

amour_sep2[1]

*Comodo per i cristiani buttare tutto il loro marciume nel Medioevo!

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